Lettera di LICENZIAMENTO IMMEDIATO: una mamma vince la causa | Doveva aiutare il figlio malato

Tribunale (Depositphotos foto) - www.guidamamme.it

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Una decisione drastica sul lavoro si trasforma in una battaglia legale che accende il dibattito sui diritti familiari.

Capita, purtroppo più spesso di quanto si pensi, che vita privata e lavoro si scontrino. E quando succede, a farne le spese sono quasi sempre i più fragili. Pensiamo per esempio a chi ha in famiglia una persona non autosufficiente: come si fa a scegliere tra uno stipendio e la cura di un figlio? Le leggi ci sono, certo, ma poi nella pratica? Le aziende, specie le più grandi, non sempre dimostrano di avere umanità o semplicemente buon senso.

Il fatto è che, anche quando un diritto esiste sulla carta, farlo valere non è semplice. A volte chiedere un congedo può sembrare quasi un’“offesa” per l’azienda. Come se prendersi cura di un parente malato fosse una colpa.

E così, quello che dovrebbe essere un diritto, si trasforma in una battaglia. Una di quelle che lasciano il segno, anche quando si ha ragione. Insomma, far valere i propri diritti non è una passeggiata, anzi. Ti ritrovi solo contro un meccanismo che sembra voler ignorare ogni forma di empatia.

E a quel punto, cosa fai? Taci e ingoi il rospo? Oppure ti alzi e combatti? Perché certe storie, pur essendo personali, finiscono per riguardare tutti. Una madre che cerca solo di occuparsi del figlio, senza perdere il lavoro, non dovrebbe essere un’eccezione. Eppure, in casi come questo, il sistema dimostra ancora una volta quanto sia distante dalla realtà quotidiana di tante persone.

Quando la vita privata diventa un campo minato

Succede tutto a Montebelluna, Treviso, come riporta La Repubblica. Lei, 38 anni, lavora da sei anni in Germania come project controller in per una grossa azienda tedesca. Tutto regolare, fino a quando decide di chiedere un congedo straordinario, previsto dalla legge 104, per assistere il figlio — un bimbo nato nel 2021 con una rara malattia genetica. Il problema? La richiesta non viene accolta bene. Anzi, viene licenziata di punto in bianco, proprio mentre inizia il periodo di assenza.

La cosa assurda — e inquietante — è che l’azienda era a conoscenza delle condizioni del bambino fin dal momento dell’assunzione. Eppure, il 2 settembre 2024, arriva la lettera che mette fine al rapporto di lavoro. Lei però non si arrende. Con l’aiuto dell’avvocato Giuseppe Galzignato, impugna il licenziamento e chiede giustizia: annullamento della decisione, risarcimento danni, e sì, pure le spese legali. E come va a finire?

Donna triste (Depositphotos foto) - www.guidamamme.it
Donna triste (Depositphotos foto) – www.guidamamme.it

Una risposta che cambia le carte in tavola

E a quanto pare, la giustizia — almeno in primo grado — le dà ragione. Il tribunale dichiara il licenziamento illegittimo, riconoscendo che l’azienda ha agito fuori dalle regole. Una piccola grande vittoria, anche se la causa non è ancora chiusa definitivamente. Ma è un segnale forte, soprattutto per chi vive situazioni simili e non sa da che parte cominciare.

«Mi hanno buttata fuori senza un motivo valido», racconta lei. «Dopo tutto quello che avevo fatto per l’azienda, mi hanno lasciata sola proprio nel momento peggiore». E invece no, non è rimasta in silenzio. Ha reagito. Ha detto basta. Una storia che fa riflettere e che mette sul tavolo una domanda semplice ma potente: può davvero il lavoro venire prima della famiglia?